MANUALE PER IL RECUPERO ARCHITETTONICO

0. Premesse

In tutto il territorio del Gal Ossola, che riguarda località abitate da quote attorno ai 2/300 m s.l.m (zone lacustri: Lago Maggiore, Lago d’Orta), fino a quote attorno ai 1700 m (località alpine: Macugnaga, Veglia, Devero, Formazza), e quindi molto differenti tra di loro, esistono numerosi centri storici ed edifici isolati le cui caratteristiche costruttivo architettoniche rappresentano un elemento specifico e distintivo della zona, testimonianza di un modo particolare di organizzare il territorio ed il paesaggio e di utilizzare le risorse dell’ambiente.

Le considerazioni che seguono e che saranno sviluppate nei capitoli successivi, si riferiscono non tanto alla eccellenza di innumerevoli prodotti artistici, diffusi nelle zone GAL come in tutta l’Italia, reperti archeologici, monumenti, castelli, palazzi, ville, edifici per il culto, parchi, quanto a quel tessuto di costruzioni e manufatti edili, il patrimonio locale, detto anche patrimonio diffuso, che costituisce l’ambiente organizzato nei secoli passati per le necessità umane.
Necessità definite dimorare, (vedi “Costruire sulle Alpi” e “Costruire con la pietra”) cioè vivere il territorio nel significato più completo: abitare, produrre i beni necessari (con il pascolo, con l’allevamento, con la coltivazione), lavorare (con gli spazi e le strutture necessarie), facilitare le relazioni tra le persone (centri comunitari, centri abitati, collegamenti).
L’ipotesi è quindi definire gli strumenti per ottenere il recupero e la salvaguardia degli antichi centri abitati, lavorando sugli edifici e le relative pertinenze, e del paesaggio, lavorando su muri di contenimento e terrazzamenti, recinzioni, strade, ponti, e su ogni tipo di manufatto più o meno isolato (fontana, lavatoio, mulino, forno, stalla, fienile, cappella, oratorio, chiesa, torre, casa forte, castello). L’obiettivo è recuperare, fin dove è possibile, la qualità di un paesaggio che, nella forma complessiva di costruzioni e natura, era risultato di millenni di interventi dell’uomo, un capolavoro di eccezionale valore, unico per qualità diffusa e varietà in tutto il territorio italiano, e con specifiche caratteristiche nel territorio del G.A.L. V.C.O., ma che ha subito gravi degradazioni per gli sconsiderati interventi dell’ultimo mezzo secolo.

Il programma rientra quindi esattamente nello “Studio per la realizzazione degli interventi di restauro e di valorizzazione sul patrimonio locale” (PLS del GAL LAGHI E MONTI DEL VERBANO CUSIO OSSOLA misura 323, Azione 3, operazione 3a -secondo trattino) ma costituisce anche il presupposto per la “Valorizzazione dell’architettura tradizionale, tutela del paesaggio antropizzato e costruito” del progetto INTERREG (Id 27462783).

Lo studio si propone di rendere agevoli, secondo gli standard attuali (condizioni igienico sanitarie, controllo termico, corretto utilizzo risorse energetiche, facilità di manutenzione, dotazione di servizi e attrezzature tecnologiche), le antiche abitazioni senza alterarne anzi, dove necessario, recuperandone la qualità architettonico ambientale e le caratteristiche specifiche, in una parola rispettando e valorizzando l’identità locale. Con restauro e valorizzazione si intende ciò che Luigi Zanzi a pagina 99 di “CulturALP, il sistema culturale alpino: una sfida per l’Europa” Villa Vigoni, 2005, raccomanda: “promuovere il ripopolamento”.
Cioè non incentivare un recupero fine a se stesso, ma rivitalizzare, anche attraverso la riorganizzazione delle connessioni tecnologiche (vedi capitolo 4), territori sottoutilizzati o abbandonati, incrementare possibilità d’uso non solo turistiche in senso ludico/sportivo (parco giochi o palestra della pianura vedi “Costruire sulle Alpi”, pagina 239), ma indirizzate ad un utilizzo delle risorse culturali ed ambientali specifiche del luogo, sviluppare competenze e capacità professionali ed esecutive di progettisti, costruttori, specialisti di tetti, muri, intonaci, carpentieri, artigiani della pietra e del legno, falegnami, pittori, restauratori. Di frequente alla richiesta dei committenti di restaurare, recuperare o rifare, con modalità “tradizionali”, tetti di beola, balconi di pietra, muri di pietra a secco, capriate di legno, solai di legno, intonaci di calce, graffiti, dipinti, il progettista e l’impresa rispondono: non si può fare.
Invece dovrebbero rispondere: non lo so fare!

Torna all'indice

0.1 Limiti

Le norme che seguono riguardano, come indicato sopra, interventi di restauro e valorizzazione sul patrimonio locale, cioè su edifici e manufatti che caratterizzano l’identità locale, costruiti in epoche precedenti la seconda guerra mondiale.
Lo “sprawl” (termine inglese usato dagli urbanisti per indicare l’edilizia distribuita in modo diffuso e disordinato sul territorio) che invade e devasta gli spazi intorno ai vecchi centri, non fa parte di questo lavoro, quindi non si può pensare si possa integralmente ricostruire la qualità complessiva del paesaggio originario.
Le norme costituiscono un primo passo, limitato ma utile, soprattutto se verrà efficacemente integrato dal programma INTERREG e se sarà seguito da ulteriori programmi di recupero del contesto paesaggistico.

Negli interventi progettuali che si pongono tra tradizione ed innovazione, non si può far conto che l’incarico sia affidato a progettisti di grande qualità, in grado di produrre, in ogni caso, un risultato di valore. La necessità di restaurare, recuperare, valorizzare le caratteristiche costruttivo/architettoniche che identificano una località impone l’organizzazione di normative e criteri di progettazione ed esecuzione che, utilizzate da un normale serio professionista, producano esiti che non stravolgano la natura, la storia, le caratteristiche dell’edificio, del nucleo edificato o del paesaggio originario.
Necessità che impone limiti alla libertà progettuale, perché definisce modalità esecutive nell’utilizzo di materiali e tecnologie, ma non limita la creatività del progettista, creatività che anzi, per definizione, si esprime nella capacità di operare in un ambito linguistico definito.

Torna all'indice

0.2 Metodo di lavoro

Per individuare criteri che permettano di formulare prescrizioni normative in un territorio vasto e dalle caratteristiche ambientali, storiche e costruttive diverse, è necessario organizzare il materiale in un numero limitato di gruppi omogenei, e procedere su ciascuno con prescrizioni comuni.
Nella fase preliminare si era ipotizzato di dividere schematicamente il territorio in sette zone, nella realtà la situazione è più articolata: da sud procedendo verso nord si incontrano edifici tipici a Quarna; pochi chilometri dopo, a Ornavasso, gli edifici tipici antichi sono differenti, ma non mancano alcuni edifici realizzati con tecniche e modalità costruttive identiche a quelle di Quarna, e viceversa.

Tutto questo vale in modo anche più articolato e complesso procedendo a nord verso la val Formazza, o a monte fino a Macugnaga.
E’ quindi necessario trovare altri modi di individuare gruppi omogenei, come si vedrà di seguito, ma lo schema in sette zone non è inutile, perché consente la collocazione territoriale di alcune soluzioni prevalenti, facilitando l’individuazione delle modalità di intervento.

Torna all'indice

0.3 Ipotesi di lavoro

In tutto il territorio del GAL le tecniche costruttive della struttura in travi di legno dei tetti dell’originario patrimonio diffuso si possono ridurre, in ultima analisi, a tre.
Naturalmente esistono numerosi casi in cui due o, più raramente, tutte e tre le soluzioni si integrano una con l’altra. Ogni singola soluzione ha conseguenze sulle dimensioni e sulla forma dell’edificio, ed è correlata con il tipo di copertura.
Questo consente notevoli semplificazioni nella redazione delle norme, che tuttavia vanno correlate con il sistema delle murature portanti: laterizio, pietre squadrate o pietre irregolari a secco, pietre connesse con malta di calce, legno in tronchi arrotondati o squadrati. La muratura può essere parzialmente integrata o sostituita da colonne di pietra o pilastri di legno.

Questa ipotesi di organizzazione sistematica è riferita a manufatti edili come abitazioni, stalle e fienili, edifici per il culto, torri e castelli, lavatoi coperti, forni per il pane. Altri manufatti che influiscono in modo determinante sulla qualità paesaggistica del territorio, come recinzioni (di legno o di pietra), scale esterne (di legno o di pietra), ponti (di legno o di pietra), fontane ed altri arredi urbani (di legno o di pietra), strade, muri contro terra, non richiedono una sistematizzazione così complessa, anche perché le modalità e i criteri costruttivi sono più omogenei nell’intero territorio.

Torna all'indice

0.4 Motivazioni

Il risalto che viene attribuito, nell’ipotesi di lavoro illustrata nel paragrafo precedente, alla struttura del tetto quasi più che al sistema murario, in connessione con la copertura (beole spesse, beole sottili, coppi, marsigliesi, scandole di legno, paglia), e con il sistema di posa delle stesse (appoggiate, con staffe di sostegno, con chiodo, e altre) è dovuto al fatto, in genere poco considerato, che le caratteristiche che identificano l’edificio e la qualità architettonica che lo contraddistinguono non sono dovute solo al materiale usato, ma soprattutto alle conseguenze che la scelta tra le soluzioni tecnologiche possibili del tetto ha sulla dimensione e sulla forma complessiva.
Inoltre, soprattutto nelle zone alpine e nei gruppi di edifici concentrati, la pendenza, la dimensione, i materiali e i dettagli delle coperture sono un elemento essenziale ad una immagine equilibrata ed armonica del paesaggio e qualsiasi intervento che non tenga conto di una omogeneità costruttiva può contribuire a degradarla o addirittura a distruggerla.

Torna all'indice

0.5 Conseguenze

Tra le numerose conseguenze di quanto indicato in 0.4. ce ne sono alcune che è necessario mettere in risalto e che riguardano soprattutto (ma non solo) il sistema tecnico più particolare dell’Ossola (diffuso in un’ampia parte del territorio ed anche in Svizzera nel Sopraceneri) degli edifici con il tetto a capriata puntoni tiranti e beole spesse.
Prima conseguenza: non è ammissibile che le beole appoggiate siano sostituite da beole inchiodate o sostenute da staffe, sia pure di spessore uguale alle precedenti.
Seconda conseguenza: non è ammissibile che sia modificato il sistema strutturale del tetto, per esempio sostituendo le travi con una soletta di calcestruzzo, o integrandolo con una trave di colmo, sia pur mantenendo la copertura di beole.
In ambedue i casi, come si spiegherà dettagliatamente più avanti, si tratta di una intollerabile degradazione della qualità architettonica, che distrugge la logica costruttiva di un sistema nato da due millenni di esperienza, e rappresenta un caso unico in Europa e forse nel mondo.
Lo stesso discorso vale per gli edifici costruiti a blinde, o Blockbau, dove il sistema costruttivo va conservato nella sua integrità di sistema di chiusura portante.

Torna all'indice

0.6 Opportunità

Le modalità intervento indicate consentono di agire nel restauro e nella valorizzazione con criteri chiari e precisi. Il restauro non può che utilizzare le tecniche costruttive esistenti aggiornate da integrazioni tecnologiche, come verrà illustrato più avanti.
La valorizzazione può richiedere anche modifiche o ampliamenti, limitati o consistenti, per adeguamento sanitario, funzionale/distribuivo o altro (naturalmente se gli strumenti urbanistici lo consentono).
La valorizzazione effettuata non solo con materiali, dettagli costruttivi e colori dell’edificio o del manufatto originale, ma utilizzandone con scrupolosa attenzione le modalità costruttivo tecnologiche, porta di necessità ad un esito che si inserisce in modo coerente ed armonico nel paesaggio, contribuendo in modo significativo al recupero ed alla riqualificazione.

Torna all'indice